martedì 22 dicembre 2015

Vendere la qualità CasaClima

Di seguito riporto il mio articolo apparso sulla rivista CasaClima di Ottobre 2015. 
Vendere la qualità CasaClima
E’ colpa della crisi. La domanda non è qualificata. I clienti pensano solo al prezzo. Quale che sia la causa, è certo che vendere la qualità non è facile. Eppure solo raramente ho sentito dire: “La colpa è anche mia.”
Se vendiamo solo il risparmio, tratteremo sul prezzo
Sfortunatamente sulle difficoltà oggettive non possiamo fare quasi nulla, per cui per avere più successo non ci rimane altra opzione che lavorare su noi stessi. Mentre un tempo la capacità di vendere poteva anche essere considerata dai professionisti un “male necessario”, oggi è una forza propulsiva indispensabile. Quando sento ripetere che per attirare l’attenzione del cliente, è necessario dimostrargli quanti soldi gli faremo risparmiare, allora è mio dovere mettervi in guardia. Abusiamo di termini quali Business Plan, Payback, Roi e non ci rendiamo conto che stiamo contribuendo a confondere la domanda invece di qualificarla. Se tale strategia poi fosse efficace, potrei essere d’accordo con chi la difende, ma non è così. Utilizzando prevalentemente argomenti economici, sarà difficile far capire che noi vendiamo qualità, comfort abitativo e un investimento sicuro. L’unica cosa che otterremo sarà invece quella di spostare il discorso su un piano finanziario e così anche noi consulenti diverremo un elemento sul quale il committente vorrà risparmiare. Non meravigliamoci allora se l’intera trattativa si ridurrà solamente ad una questione di prezzo.  
Superare la diffidenza con la fiducia
La vendita non è un’arte, ma una scienza. Non è pensabile accettare gli insuccessi come il frutto del destino, così come il successo commerciale non è la conseguenza di azioni creative, ma il risultato di azioni pianificate. La diffidenza verso il nuovo è normale. Sta a noi tecnici superarla. Come possiamo vendere qualcosa di così complesso come la qualità? Con la fiducia. Quando il cliente si rivolge a noi, lo fa perché ha fiducia nella nostra capacità di aiutarlo a capire di cosa ha veramente bisogno. Dare per scontate le sue necessità, significherebbe confonderlo con argomenti che per lui potrebbero avere scarso valore. Dobbiamo ripagarlo della fiducia che ci dimostra, preoccupandoci di essere credibili prima di tutto come persone. Solo chi è credibile riuscirà a far emergere i bisogni, le preoccupazioni e le ambizioni del committente. Per guadagnarci la sua fiducia, dobbiamo quindi dimostrargli che crediamo profondamente in quello che offriamo. Se consideriamo l’offerta CasaClima solo come una freccia in più al nostro arco, il cliente se ne accorgerà subito e ci respingerà.
Non vendere la qualità CasaClima, ma farla comprare
Vendere la qualità CasaClima è quindi più una questione di saper ascoltare che di saper parlare. La nostra missione è differenziarci offrendo i più alti livelli di qualità e comfort, ma se cerchiamo semplicemente di convincere i clienti a volere ciò che abbiamo da offrirgli, rischiamo di non essere capiti. I committenti si rivolgono a noi perché sanno che nel mercato siamo i più qualificati per aiutarli, ma non sanno come. Non si può vendere la qualità con format prestabiliti, ma dobbiamo far comprare al cliente quello che, della nostra offerta, ha valore per lui. Faccio un esempio: se il cliente vuole da noi una soluzione per risparmiare sui costi di gestione dell’immobile, dovremo fargli capire che la qualità è l’unica soluzione veramente valida nel tempo. Il committente infatti si affiderà a noi quando gli avremo dimostrato, che capiamo sinceramente di cosa ha bisogno e che la qualità della nostra offerta è la più indicata a soddisfare tali esigenze.    
Cliente dopo cliente, creiamo la domanda qualificata
Non esistono zone intrinsecamente più propense nei confronti della qualità costruttiva: esistono solamente aree geografiche in cui possiamo rintracciare, oggi, i risultati del lavoro iniziato tanti anni fa. In fondo creare una domanda qualificata significa prima di tutto essere consapevoli che ognuno di noi contribuisce alla causa, generando clienti pienamente soddisfatti. Per questo è importante che si utilizzino esclusivamente argomenti di valore per il cliente e fare in modo che questo, prima ancora che i nostri servizi, acquisti la nostra indiscutibile correttezza e professionalità. Essere consulenti CasaClima aiuta, perché un soggetto terzo garantisce la qualità della nostra preparazione tecnica, ma alla fine saremo sempre noi da soli, gli unici responsabili del fatto che la nostra domanda sia più o meno qualificata.
Marketing e commercio CasaClima
La buona notizia è che l’Agenzia CasaClima sta mettendo a punto un percorso formativo che aiuterà i tecnici ad offrire ai committenti le proprie competenze nel modo più adeguato. Dopo la fiera KlimaHouse 2016 si apriranno le iscrizioni per il primo modulo della formazione CasaClima in Marketing e Commercio. Mi chiamo Alessandro Grilli. Sono un consulente CasaClima e un professionista del marketing e commercio. Il mio lavoro sarà spiegarvi come vendere con successo la qualità e aiutarvi a creare la vostra domanda qualificata.


Alessandro Grilli




Sarò ben lieto di ricevere i vostri commenti e i vostri suggerimenti per un corso il più possibile in linea con le vostre esigenze e aspettative.
Dott. Alessandro Grilli





giovedì 3 dicembre 2015

Pregi e difetti di lavorare in team

Il mondo imprenditoriale è pieno di persone che da sole, sono riuscite a fare grandi cose, ma l'attuale contesto economico obbliga a lavorare insieme. 

Per questo si parla tanto di Teamworking: c’è bisogno di rapidità nelle decisioni, di resistenza alle difficoltà alle quali i mercati ci sottopongono costantemente e di intelligenza intesa come capacità di Problem Solving.

I principali vantaggi di far parte di un gruppo, sono dati, per il professionista che vi aderisce, dal fatto che la competenza del gruppo è superiore a quella data dalla somma delle singole competenze individuali.

Un insieme di professionisti possiede infatti, già dal momento della sua stessa costituzione, più informazioni e competenze dei singoli membri e quindi una maggior capacità di affrontare le difficoltà del mercato in modo alternativo.


Chiaramente anche per questo vantaggio c’è il rovescio della medaglia: all'interno di un gruppo la pluralità di opinioni e metodi di analisi comporta inevitabilmente uno stiramento dei tempi e quindi un capacità operativa più lenta. 

In questa situazione al rallentatore, l’anonimato garantito dal gruppo e la diluizione della responsabilità tra tutti i membri che lo compongono, può causare un forte disimpegno del singolo.

Esistono molti tipi di team a seconda delle loro caratteristiche principali; basti dire ad ogni modo, che se l’interdipendenza è un elemento chiave del lavoro che più individui scelgono di fare insieme, essa, di per sé non fa un team: c’è bisogno di una spinta motivazionale maggiore, ovvero di un obiettivo ambizioso, stimolante e raggiungibile.

Nel caso particolare di team di professionisti, che da soli operano per il raggiungimento dei propri obiettivi lavorativi, ma che in questo cercano il mezzo per ottenere risultati più complessi, la questione di definire vision e mission diventa di vitale importanza.

I team caratterizzati da un’elevata autonomia interna dei singoli membri, hanno il vantaggio di essere la forma organizzativa che meglio si adatta alla complessità dei mercati contemporanei, perché meglio di tutti gli altri riesce a reagire al cambiamento e adattarsi alle strategie emergenti senza perdere la propria identità.

Il problema è che le forze centrifughe all'interno di queste organizzazioni sono molto forti e mettono costantemente a dura prova il livello di coesione interna.

Per risolvere questo problema è di fondamentale importanza stabilire una meta di lungo termine che sia profondamente condivisa da tutti e al contempo obiettivi di breve termine il cui raggiungimento, dia soddisfazioni collettive continue che rinforzino il senso di adesione al team.

Il team è quindi un'organizzazione molto difficile da realizzare, ma al contempo la più potente, lì dove ci si riesca.


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Dott. Alessandro Grilli

lunedì 16 novembre 2015

Networking. Lavorare insieme per andare più veloci e più lontano.

In una società sempre più complessa, con mercati a somma zero e ancor peggio, in recessione, dove le relazioni diventano sempre più liquide (Cit. Baumann), il singolo professionista, fosse anche il più bravo e geniale di tutti, deve far fronte a difficoltà crescenti alle quali può sperare di tener testa, solamente grazie all'azione collettiva di un team.

L’incremento esponenziale delle variabili intervenienti sulla definizione degli scenari economici, rende impossibile prevedere il futuro. Nessuno è più in grado di farlo e qualsiasi ipotesi sembra esser fatto per essere sistematicamente contraddetta.

La nostra capacità strategica si è ridotta moltissimo: un po’ come nelle previsioni meteo dove dopo un certo numero di giorni risultano totalmente inaffidabili.

Come sappiamo e avremo modo di vedere, la responsabilità del singolo è quella di operare costantemente bene per dare il suo contributo alla qualificazione della domanda.

Oltre questo ruolo, però il singolo non può andare semplicemente perché da solo non è in grado di affrontare la complessità della situazione.

È necessario quindi che unisca le proprie forze a quelle degli altri: un team non è altro quindi che un soggetto unico, in grado di operare più velocemente e con più forza del singolo al fine di raggiungere l’obiettivo che si è dato.

Se vuoi andare veloce, vai da solo; se vuoi andare lontano, vai insieme agli altri.

Questo proverbio africano ci invita alla riflessione e ci ricorda come, in base agli obiettivi che ci diamo, possa essere più o meno utile unire le nostre forze a quelle degli altri.

Il problema è che questo proverbio, così come nella vita reale, non ci dice chi sono questi “Altri” e quale dovrebbe essere il loro ruolo.

Cosa significa andare insieme? Stare vicino, ma muoversi ognuno per conto proprio? Alle mie dipendenze? Come associazione nella quale ognuno dee avere un proprio ruolo ben definito con compiti assegnati?


Non ci dice nulla nemmeno su quale sia il percorso migliore per arrivare dove vorremmo andare.

Nei prossimi articoli, proverò a dare una risposta a questi quesiti. 

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Alessandro Grilli 


venerdì 16 ottobre 2015

Spezzetta, riduci, semplifica...insomma atomizza!

Esiste un ulteriore fondamentale elemento chiave per riuscire nel cambiamento dello status quo. 

Se ne parla alla fine perché effettivamente in principio si da per scontato, ma arriva un momento nel quale il manager che deve rendere esecutiva una strategia di rottura, ha l'obbligo di affrontare la questione: la sfida strategica è superabile? 

Perché se i dipendenti dell'organizzazione sono motivati, voi avete creato i protocolli per poter eseguire il cambiamento, ma poi nessuno ritiene verosimile che quella sfida sia realmente fattibile, allora è molto poco probabile che il cambiamento avvenga. 

Il cambiamento mette sempre paura. Genera ansie che possono portare alla paralisi operativa fino ad arrivare a vere e proprie azioni di boicottaggio. 
Reazioni normalissime. Oserei dire che la paura sia anche auspicabile perché se non ci fosse, allora sareste circondati da scriteriati kamikaze. 
Il problema è che l'obiettivo deve essere, come dice il Prof. La Bella, un Grande Obiettivo Ambizioso Sfidante. 

Deve cioè essere sufficientemente grande e ambizioso da provocare, se adeguatamente gestito, l'entusiasmo iniziale necessario per partire.
Poi però deve essere soprattutto raggiungibile! 

Dopo l'entusiasmo iniziale, che comunque non è scontato e dipende dalla capacità di leadership e carisma del manager, si sprofonda in una crisi molto forte. 
I risultati tardano ad arrivare, prevale lo sconforto e iniziano a spuntare come funghi i maestri del "Ve lo avevo detto io". 

E' una fase critica e normalmente avviene quando si è più vicini al raggiungimento del risultato. 
Sfortunatamente in quel momento i discorsi motivazionali serviranno a ben poco. Sarà indispensabile che a monte, vi siate preoccupati di apportare gli argomenti più adeguati per far sì che i vostri colleghi credano, come voi, che quell'obbiettivo sia raggiungibile. 
Non facile da raggiungere, ma che la cosa sia fattibile. 

Per riuscirci, dovrete preoccuparvi di atomizzare la sfida in sfide più piccole che portino a risultati parziali positivi in tempi più brevi. 
La sfida diventerà allora onnicomprensiva e accessibile. 

Se per esempio sarete chiamati a trasformare un'azienda che opera principalmente in Italia, in un'organizzazione con una forte capacità operativa nei mercati esteri, vi converrà stabilire obiettivi parziali funzionali al processo finale. Scomporrete allora l'obiettivo in quello di efficienza ed efficacia operativa dei singoli uffici, nella individuazione di una manciata di mercati di interesse strategico, nella creazione di un protocollo snello in grado di adattarsi alle esigenze dei committenti esteri e così via....

Se invece vorrete realizzare una rivoluzione green della vostra azienda per rinnovare l'immagine che il mercato ha di voi, prima di fare grandi proclami lavorate su piccoli obiettivi interni.

Eliminate per esempio la carta, nei limiti del possibile, dai vostri uffici, utilizzate energia che provenga da fonti rinnovabili, limitate gli spostamenti in aereo del vostro personale, incoraggiate l'uso dei mezzi pubblici e delle biciclette, formate tutto il personale attraverso corsi sull'educazione ambientale e l'efficienza energetica e così via....

Insomma dovete spezzettare, ridurre e semplificare gli obiettivi più complessi, in parti più piccole. 
Queste, pur se complicate, saranno più facilmente raggiungibili creando quel rinforzo positivo, che voi vi preoccuperete sempre di esaltare, necessario per mantenere entusiasmo e fiducia nel risultato finale, sempre molto alti. 




Per informazioni e contatti: 

Dott. Alessandro Grilli 


giovedì 15 ottobre 2015

La motivazione: un ingrediente fondamentale per il cambiamento in un'organizzazione.

C'è una grossa differenza tra l'aver capito che c'è l'impellente bisogno di fare qualcosa e volerlo fare per davvero.

Per poter riuscire bene nell'operazione di traghettare un'azienda verso una strategia di rottura con conseguente cambiamento dello Status Quo, è necessario un ulteriore ingrediente rispetto a quelli già studiati negli articoli precedenti: la motivazione.

Come già abbiamo avuto modo di vedere negli articoli precedenti, il manager normalmente cerca di far arrivare in ogni angolo dell'azienda, i suoi propositi di cambiamento. Lo fa con riunioni, conferenze e circolari interne. 

I messaggi di questo tipo hanno sempre una scarsa efficacia perché il loro peso si diluisce proporzionalmente al numero di persone al quale sono rivolti.

Anche in questo caso, per far nascere nei propri colleghi la motivazione necessaria al cambiamento dello status quo, è necessario concentrare la propria azione piuttosto che disperdere i propri sforzi in così tante direzioni. 

Il manager deve individuare i leader naturali dell'organizzazione.: coloro i quali esercitano un'influenza sugli altri. 
A volte sono anche quelle risorse che per operare in un settore particolare, hanno la capacità operativa di bloccare o sbloccare risorse. 

Fortunatamente queste figure sono molto poche. Per cui è relativamente facile individuarle, a patto chiaramente che il manager dedichi il tempo necessario a studiare la situazione prima di agire. 

Affinché però l'attenzione del manager su questi leader sortisca un effetto positivo per la causa, è importante che tutti i riflettori siano puntati su di loro e che la loro azione, sia conosciuta da tutti

Questo può significare ad esempio organizzare riunioni periodiche (Ogni due settimane) per discutere dei risultati di ognuno, evidenziarne le difficoltà oggettive, far vedere i progressi e perché no, mettere in luce le mancanze di chi non si sta impegnando a dovere. 

E' importante che durante queste riunioni, ognuno abbia la possibilità e il dovere di spiegare dettagliatamente cosa ha fatto e perché lo ha fatto. Automaticamente la mancanza di risultati, non giustificabili da nessun impedimento oggettivo, sarà annientata dal confronto impietoso con gli altri. 

L'allineamento sarà verso l'alto e il manager si preoccuperà di rafforzare positivamente i comportamenti migliori, lasciando al gruppo, il compito di gettare un'ombra su chi non si sta impegnando come dovrebbe per il cambiamento dello status quo. 

Rendere tutto così trasparente, ha il grande vantaggio di evitare anche i comportamenti scorretti di chi, a fronte di un fallimento, potrebbe cercare di insabbiare in qualche modo la sua mancanza. 
Saranno i suoi colleghi stessi a reagire alla scorrettezza, evitandovi così di dover seminare il dubbio e il sospetto. 

Mi raccomando però, una volta definita una linea, siate pazienti e soprattutto coerenti con quella. Nessun cambiamento è dall'oggi al domani. 

Il lavoro del manager dovrà essere proprio quello: stabilire delle regole chiare di gioco. Se i parametri per la valutazione sono troppo soggettivi, allora il risultato non arriverà. 
Tutti devono sapere per cosa saranno ricompensati e per cosa invece saranno biasimati. 
Solo le regole chiare, potranno rendere tutto il processo naturale, sollevandovi tra le altre cose, da una importante mole di lavoro gestionale che in questo caso invece sarà automatico e diffuso. 

Se il protocollo sarà ben definito e sarà seguito con attenzione, allora quegli stessi leader lo adotteranno con le persone che devono dirigere e, proprio come un'epidemia, si estenderà a tutta l'organizzazione senza grandi sforzi. 

Nel prossimo articolo vedremo l'importanza di spezzettare in parti più piccole il cambiamento. 


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Dott. Alessandro Grilli 
Green Marketing & Sales

sabato 3 ottobre 2015

Quando la riuscita di una strategia aziendale dipende dalle risorse

Questo articolo prosegue l'analisi su come traghettare un'azienda verso strategie di rottura. 

Quando il manager è riuscito a convincere più o meno tutto il suo staff dell'esigenza di intraprendere il cambiamento che è stato chiamato a guidare, subentra un altro tipo di problema: quello legato alla disponibilità delle risorse. 

Che si tratti di una strategia di Green Marketing, di Corporate social responsibility, di apertura nuovi mercati o di esportazioni, il problema non è di poco conto. 

Esiste la generale convinzione che quanto più la strategia sia di rottura, quanto maggiori saranno le risorse necessarie per affrontarla. 

Problema di assoluta rilevanza soprattutto se si considera, che troppo spesso sfortunatamente, il board aziendale potrebbe non essere pienamente cosciente dello sforzo che perseguire questa strategia, potrebbe significare. 

Al manager così non rimangono che due scelte: la prima è quella di ridimensionare gli obiettivi, rigettando così tutta la squadra, ora finalmente entusiasta, nello sconforto più totale. Oppure quella di iniziare una disperata di ricerca di risorse bussando alle porte di banche ed azionisti: una metodologia lunga e dispendiosa. I cui risultati sono oggi tutt'altro che certi. 

In realtà vorrei aiutarvi a capire che questo assioma, potrebbe non essere vero.

Anche in questo caso, basterà concentrarsi sull'esistente per cercare di ottimizzare le energie e ridurre così le risorse necessarie

L'idea è quella di moltiplicare il valore delle risorse già a disposizione. 
Vediamo insieme come. 

E' necessario concentrarsi su quelli che Chan Kim e Mouburgne chiamano i punti caldi.

I punti caldi sono quelle attività che richiedono poche risorse, ma che hanno un elevatissimo potenziale a livello di performance.

Per individuarli si deve specularmente riuscire ad identificare quelli freddi, ovvero le attività che richiedono molte risorse e danno scarsi risultati.

Infine è necessario concentrarsi su quelle risorse che potrebbero risultare in eccesso in un'area aziendale, per trasferirle e così colmare le lacune della propria. 

Capite quindi come prima di procedere nell'applicazione di qualsiasi strategia innovativa, sia di fondamentale importanza dedicare tutto il tempo necessario ad identificare quelle attività con il più alto potenziale, evitando così di avviare una disperata ricerca di risorse, probabilmente non necessarie. 



Per informazioni e contatti: 
Dott. Alessandro Grilli 



giovedì 1 ottobre 2015

Se volete che vi seguano nel cambiamento, fategli vivere l'esigenza del cambiamento

Quando un'organizzazione si prefigge di raggiungere un obiettivo, normalmente chiama un manager a guidare questo processo. 

E' una prassi consolidata, per il responsabile di turno, operare come segue: definisce un obiettivo numerico (Fatturato, numero di mercati, appalti vinti, clienti conquistati...) e dopo aver spiegato quanto è importante per l'azienda arrivarci, le uniche due alternative che ammetterà sono due: raggiungere quell'obiettivo oppure superarlo. 

I numeri si sa non mentono, ma chi li presenta può farlo. 
Possono essere manipolati e si finisce così per instaurare in azienda l'adozione di pratiche poco ortodosse nella stesura dei budget. Tanto predittivi, quanto consuntivi. 

Il rischio, in quest'ansia da prestazione numerica, è quello di dar luogo a un clima di reciproco sospetto che chiaramente non può che far male, e molto, all'organizzazione stessa. 

Anche quando non c'è la voglia di imbrogliare, rimane comunque il fatto che in strategie di rottura o molto complesse, l'analisi basata sui soli numeri, può essere molto fuorviante. 

Per superare l'ostacolo cognitivo, i manager più illuminati, devono lasciar perdere i numeri e far toccare con mano la dura realtà alle persone che dovranno accompagnarli nel processo di cambiamento. 

I numeri sono asettici. Si dimenticano facilmente. Le persone invece si ricordano molto di più ciò che vedono e sperimentano personalmente. 

Come possiamo convincere qualcuno a seguirci a suon di bilanci, budget e percentuali? 

Chi è chiamato a guidare questi cambiamenti deve condurre le persone a sentire nel profondo, la necessità del cambiamento. 
Il processo deve essere spontaneo. Non indotto. 
Solo in questo modo si può sperare in un rapido e contagioso cambiamento di mentalità. 

Va fatto con i dipendenti, con i colleghi di pari rango e con i superiori. 
L'errore che molti manager commettono, è quello di parlare solo delle proprie capacità operative senza invece soffermarsi sul problema reale per il quale si è lì. 

Se dovrete far capire alla vostra squadra quanto può essere lungo, difficile e, soprattutto, necessario un percorso di internazionalizzazione, per esempio, non dovrete raccontargli il fatturato al quale aspirate, ma portarli a vedere aziende che per non aver intrapreso questo percorso, o non averlo fatto con le giuste risorse e la corretta consapevolezza dei tempi necessari, sono fallite miseramente. 

La strategia del punto critico di Chan Kim e Mauburgne, ci dice proprio questo: se volete che vi seguano, fategli vivere l'esigenza del cambiamento. 
Non basta raccontargliela. 

Nel Green Marketing, ma più in generale più la strategia è di rottura, più questa interviene nel cambio di Status quo, più allora sarà necessario riuscire in questa operazione, per non ritrovarsi più avanti con ostacoli interni che potrebbero minare il successo dell'operazione. 





Per informazioni e contatti: 
Alessandro Grilli 



lunedì 28 settembre 2015

Come traghettare un'azienda verso il cambiamento dello status quo.

Questo articolo, così come quelli che seguiranno, nascono dalla volontà di rispondere ai dubbi che qualche giorno fa, un mio carissimo amico, ha voluto condividere con me.

Antonio è un professionista di alto livello che presto dovrà traghettare una grande azienda milanese verso un nuovo mercato: dovrà generare e riuscire ad applicare una strategia di rottura che senza dubbio incontrerà, tra i suoi stessi colleghi, non poche resistenze.

Dovrà coinvolgere decine di professionisti abituati a lavorare in un certo modo da anni, verso nuovi incarichi, a volte anche molto complessi. 
Riuscirci, significherà per tutta l'organizzazione, sopravvivere in un mercato che non è più quello al quale erano abituati.

Caro Antonio, spero di riuscire con questi articoli, a darti una mano.

Una strategia di rottura, rappresenta sempre un significativo allontanamento dallo Status Quo

Gli ostacoli che un manager come Antonio, sono chiamati ad affrontare sono quattro. 

Quello cognitivo: far comprendere ai dipendenti dell'organizzazione, la necessità di modificare la strategia aziendale. 
Quello relativo alle risorse: quanto maggiore è lo spostamento strategico, maggiori saranno le risorse necessarie per realizzarlo. 
Quello motivazionale: riuscire a far applicare il cambio di strategia velocemente e con efficacia da tutti, nonostante questo significhi staccarsi dallo status quo che durante anni ha caratterizzato il loro lavoro. 
L'ultimo ostacolo è quello politico: le insidie politiche, amministrative, ma anche gestionali, sono sempre dietro l'angolo e il mondo è pieno di personaggi pronti ad affossarti prima che tu riesca ad alzarti in piedi. 

Negli articoli che seguiranno, cercherò di illustrare nel modo più esaustivo possibile, ognuna di queste quattro insidie, indicando di volta in volta, come affrontarle nel migliore dei modi.

Prima va detto però, che per riuscirci, sarà necessario abbandonare la logica diffusa secondo la quale per riuscire a realizzare un grande cambiamento in un'organizzazione, sia necessario un gran dispiego di forze e risorse in un tempo altrettanto grande. 

Quello che invece si dovrebbe fare come prima cosa, è proprio cambiare questo approccio, addirittura capovolgendolo. 
La chiave è nell'applicazione di quella che Kim e Mauburgne hanno definito: la strategia del punto critico. 

Rifacendosi all'epidemiologia, la strategia del punto critico si basa sulla constatazione del fatto che in ogni organizzazione possono verificarsi in breve tempo cambiamenti anche molto importanti, quando le convinzioni di un numero ristretto di persone, una massa critica, creano un movimento quasi spontaneo e di tipo epidemiologico verso un'idea. 

La chiave quindi è quella di lavorare attraverso una logica di concentrazione invece che di diffusione. 

In ogni organizzazione ci sono persone, azioni ed attività che esercitano un'influenza contagiosa su tutta l'azienda e sulla performance desiderata. 
Invece quindi di investire tempo e risorse in modo proporzionale al cambiamento desiderato, è più efficace identificare i fattori che esercitano un'influenza contagiosa sull'organizzazione. 

Una volta identificati, le energie del manager chiamato a guidare questo cambiamento, dovranno concentrarsi solamente su questi ultimi. 

Nel prossimo articolo, vedremo come superare il primo dei quattro ostacoli: quello cognitivo. 





Per informazioni e contatti: 
Alessandro Grilli 

sabato 26 settembre 2015

Stabilite degli obiettivi chiari e precisi. Il vostro cervello vi aiuterà a raggiungerli.

Il successo è sempre il frutto della dedizione con la quale affrontiamo un'attività. Non è mai casuale, ma è il risultato di una serie di azioni che possono avere un'origine anche molto lontana nel tempo e che si contraddistinguono per una caratteristica particolare: la coerenza. 

Certo è innegabile che esistano casi nei quali uno pensi che quella persona o quel professionista più che dedizione ha avuto una gran fortuna. Anche quella ci vuole per carità, ma se chi è baciato dalla Dea Bendata, non ha una base ben solida, quel successo è solo momentaneo. 

Da professionista, non è quel tipo di successo quello che cerco. 
In realtà, ho personalmente capito che non è nemmeno il successo, l'obiettivo del mio lavoro quotidiano. 
Quello che io voglio è semplicemente sapere che sto facendo la cosa giusta: quello che ha valore per me, che considero appagante, che mi piace e mi appassiona. 

Ad ogni modo è lecito essere ambiziosi. Ognuno poi dia a questo termine il significato che crede. 

Oggi però vorrei insegnarvi un piccolo trucco per far si che anche voi, diate una mano alla fortuna. 
Lo prendo in prestito dalle neuro scienze e non me ne vogliano per carità i professionisti del settore. 
Non sono materie che domino, per cui mi limiterò solo a spiegarvi come può aiutarvi il SAR. Ovvero il Sistema di Attivazione Reticolare. 

Vi è mai capitato di interessarvi per esempio all'acquisto di un particolare modello di macchina e di iniziare a vederlo ovunque
Non succede certo perché improvvisamente è aumentato il numero di quel tipo di veicolo in circolazione!
Succede perché il nostro cervello ha la capacità di selezionare gli stimoli che provengono dal mondo circostante in base ai nostri interesse. 

Ogni giorno siamo costantemente bombardati da milioni di stimoli: visivi, olfattivi, sensoriali, cognitivi ecc. ecc. 
Se fossimo in grado di far caso a tutto, senza dubbio ne usciremmo pazzi. 
Questa capacità incredibile del nostro cervello è proprio data dal sistema di attivazione reticolare. 

Capite quindi che se nella vostra professione non sapete cosa volete, non sarete fisicamente in grado di cogliere gli stimoli che vi si presentano. 
Certo la fortuna, dicevamo, ha il suo peso, ma forse è il caso che voi vi rendiate capaci di cogliere le opportunità che vi presenta. 

Per avere successo è quindi prima di tutto indispensabile che sappiate con assoluta certezza cosa volete e dove volete arrivare. 

Questo è l'unico compito che vi dovete dare. Il resto vedrete come magicamente vi si materializzerà sotto i vostri occhi. 

All'interno della vostra professionalità, se questa è troppo ampia, cercate di focalizzare la vostra più profonda passione o almeno quello in cui credete che siete o potreste essere i più bravi. 

Inizierete così a vedere intorno a voi persone che possono darvi una mano. 
Occasioni di studio di estrema rilevanza. 
Opportunità di lavoro molto specifiche. 
Libri interessantissimi per la vostra formazione specifica. 
E via dicendo...

Concludo quindi suggerendovi nuovamente di portare a termine la definizione di voi stessi. 
Fatto questo la perseveranza deriverà dalla passione che accompagna il lavoro in qualcosa che vi piace così tanto. 
Il mondo poi vi mostrerà tutte le opportunità possibili per permettervi di raggiungere i vostri obiettivi. 
Il successo in fondo, non è altro che questo. 



Per informazioni e contatti: 
Alessandro Grilli 

giovedì 24 settembre 2015

Per superare la crisi, è meglio essere realisti che ottimisti.

James Stockdale è stato un vice ammiraglio della marina degli Stati Uniti.
E’ stato il prigioniero di più alto rango durante la guerra del Vietnam.

Durante quasi otto anni è stato torturato e umiliato, gli è stata negata la libertà ed è stato costretto a vivere in condizioni disumane.
Nonostante le numerose privazioni, ha fatto di tutto per sopravvivere e aiutare gli altri prigionieri.

Pluridecorato come eroe di guerra, molti anni dopo il suo rientro in patria, gli venne chiesto chi tra i suoi compagni non fosse sopravvissuto.
La risposta fu sorprendente: gli ottimisti.

Coloro i quali ripetevano a se stessi e agli altri che prima o poi sarebbero usciti di lì.
Dicevano: “A Natale ci libereranno”. Poi veniva il Natale e non succedeva nulla.
“Ci libereranno entro l’estate, vedrete!”. Passavano i mesi, eppure quel momento non arrivava mai.
Alla fine morirono di crepacuore.

Mi chiamo Alessandro Grilli. 
Sono un consulente in marketing & commercio. 
Ho aiutato molti professionisti e molte aziende ad affermarsi sul mercato con strategie di marketing integrato. 
Sono stato per molti anni responsabile di numerose reti commerciali in Italia e all’estero e ho maturato una lunga esperienza nella formazione alla vendita di ingegneri, architetti, geometri e periti.
Proprio per questo motivo, anni fa ho iniziato il percorso CasaClima per essere ancor più di aiuto ai tecnici con i quali collaboro.

Ogni volta che sento i miei colleghi lamentarsi per la crisi mi viene in mente la storia di Stockdale.

La cosa peggiore che oggi possiamo fare è credere che si tornerà a stare meglio quando la crisi sarà finita.
E se non finisse? La verità è che nessuno può dire quando e se succederà. D'altronde nessun economista era stato in grado di prevedere la crisi. Dovremmo fare quindi affidamento agli analisti che oggi dicono che il prossimo anno il Pil crescerà dell’1%?

Il fatto è che viviamo in un epoca in cui i problemi da complicati sono diventati complessi: non si sa se esiste una soluzione, né quale potrebbe essere quella più giusta tra quelle che abbiamo in mente.

Per cui piuttosto che ripensare ai bei tempi passati quando c’era tanto lavoro per tutti e vendere era senz'altro più facile, è meglio essere pragmatici, munirsi degli strumenti adeguati e far fronte alla realtà per quello che è.

Personalmente preferisco i realisti agli ottimisti: perché i realisti possono dimostrare a se stessi e agli altri di essere animati da una reale voglia di diventare leader nel loro settore nonostante tutto e tutti.
I realisti sono quelli determinati al successo: non sanno come, ma sanno che ce la faranno.

Gli ottimisti invece credono che la situazione nella quale versano, dipenda da fattori esterni e hanno fiducia che prima o poi il peggio passerà.
Credono che la colpa della situazione sia ora della crisi, ora del contesto nel quale operano, ora della domanda che non apprezza quello che offrono.
Si danno giustificazioni che sono alibi e si limitano a sopravvivere in attesa di tempi migliori.

E’ fuori discussione il fatto che in questa particolare congiuntura economica sia sempre più difficile operare bene.
Così come è vero che quasi ovunque, la domanda non sia affatto qualificata per apprezzare il valore della nostra offerta.
Siamo stufi di fare tanti preventivi per nulla, di entrare in competizione anche con chi non ha la nostra preparazione tecnica e di vedere come tutta la trattativa si riduca troppo spesso a una questione di prezzo.

Eppure la crisi non colpisce tutti allo stesso modo: molti lavorano molto di meno, mentre pochi lavorano molto di più.

Io credo fortemente che tutti i consulenti CasaClima, per il tipo di preparazione che hanno maturato e per la lungimiranza che dimostrano investendo in questo settore, dovrebbero essere tra quei pochi che nonostante la crisi siano costretti a dire di no ad alcuni clienti per il troppo lavoro che hanno.

Attraverso questo blog, cercherò di spiegarvi come fare per riuscirci.

Buon lavoro a tutti.





PS: 
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Alessandro Grilli