giovedì 30 luglio 2015

Come parlare in pubblico con successo - Post #1

Quanti di voi si trovano in difficoltà quando arriva il vostro turno di parlare in pubblico?

Sudori freddi, palpitazioni, fiato corto e confusione, tra tanti altri possibili sintomi, appaiono non appena sentite pronunciare il vostro nome o alzate lo sguardo e vedete decine e decine di occhi che vi fissano ansiosi di sapere cosa avete da dire.

Per qualcuno anche una riunione di lavoro, magari con il proprio responsabile oppure con un cliente, diventa motivo di stress.

Beh oggi con questo articolo inizierò una serie di post dal titolo "come parlare in pubblico con successo", che vi dovrebbero aiutare a superare questi momenti e ad uscire vittoriosi da prove del genere.

Prima di tutto c’è da dire che la reazione che in forma più o meno intensa tutti abbiamo, è assolutamente normale.
E’ qualcosa di ancestrale che non può essere cancellata, semmai possiamo solamente imparare a controllarla e sfruttarne al meglio gli aspetti positivi.

La colpa è della amigdala: una ghiandolina che sta nel bel mezzo del nostro cervello e che ci scatena tutte quelle reazioni. 
Grazie a lei il nostro cervello, quando ci troviamo di fronte a tanti occhi che ci guardano o anche solo di fronte ad una persona che conosciamo poco, ci avvisa di una possibile minaccia.
Se fossero predatori intenzionati a fare di noi un bel boccone? 
Meglio essere preparati alla fuga.
In effetti tutte quelle reazioni molto simili a una forte condizione di stress, sono i sintomi collaterali della preparazione che il nostro fisico sta avviando per una possibile corsa per la sopravvivenza.
Il cuore accelera i propri battiti per dare più sangue ai nostri muscoli e il nostro cervello diventa estremamente sensibile a qualsiasi stimolo.

Chiaramente questa scarica di adrenalina poco si concilia con la necessità di parlare in modo pacato né con quella di essere pazienti e ascoltare cosa ha da dire il nostro interlocutore.
Lo scopo di questi articoli sarà quindi quello di imparare a gestire queste situazioni in modo tale da sfruttarne il potenziale senza rischiare di rimanere in silenzio davanti ai nostri interlocutori.

Prima di tutto vorrei allora chiarire che l’espressione comunemente usata di PARLARE IN PUBBLICO non è corretta. 
Anche un pazzo che se ne va in giro parlando tra sé e sé tra le strade di un paese, parla in pubblico, ma chiaramente non è quello che qui vogliamo intendere.
Forse sarebbe meglio allora usare l’espressione PARLARE A UN PUBBLICO.
Una sola preposizione cambia di molto il senso di quello che vorrei spiegarvi e che vorrei considerassimo tutti alla stessa maniera: con parlare in pubblico intendo quindi parlare in modo persuasivo a una o più persone contemporaneamente.

Normalmente avrete incontrato nella vita due tipi di comunicatori: il venditore di fumo e lo scienziato saccente.
Il primo è quello che armato di una grande parlantina e di una indubbia velocità di pensiero, vi riempie di tante chiacchiere e argomenti assolutamente convincenti, sotto i quali però non c’è nulla di concreto.
Tra gli agenti di commercio per indicare questa pratica si usa, mio malgrado anche con un certo compiacimento,  l’espressione “Fare cinema”.
Ma come diceva Pierre Corneille, “Dopo aver mentito, occorre buona memoria!”. 
In effetti questo tipo di comunicazione è utile solo ed esclusivamente in un caso, ovvero quando non rivedrete mai più i vostri interlocutori. 
Ma come potete immaginare, non esiste vero successo basato su una strategia di questo tipo.

All’estremo opposto c’è il sapiente scienziato che parte dal presupposto che lui è l’unico che sa come stanno le cose e che è probabilmente l’unico che può dire cose intelligenti tra tutti i presenti. 
Parla lentamente, usa parole anche molto difficili e non si preoccupa se i suoi interlocutori danno chiari segni di insofferenza. 
Il suo pensiero è: se quello che dico non è comprensibile, la colpa è del mio interlocutore non mia.

Il problema vero è che oggi non basta più una targa di ottone alla porta che riporti i vari titoli posseduti per far sì che automaticamente i nostri interlocutori diano per buono quello che stiamo dicendo.
La capacità di saper comunicare bene è oggi un tema che riguarda tutti e nessun professionista, di qualsiasi settore e livello, può più esimersi dall'imparare come comunicare in maniera efficace.

E se lavorate nel green business, dovrete impegnarvi ancor di più per imparare tutte le tecniche più importanti per persuadere i vostri interlocutori e convincerli della bontà dei vostri argomenti: nel nostro settore dove tecnologie sempre più innovative si intersecano con rivoluzioni sociali e approcci ideologici, il rischio di non riuscire a farsi capire, è davvero altissimo.

Nel prossimo articolo vedremo come un buon comunicatore, deve preparare il proprio discorso per essere sicuro di aver successo.

Nel frattempo, come sempre, auguro buon lavoro a tutti!


Per info e contatti:
Alessandro Grilli

martedì 28 luglio 2015

Spunti per vivere green e pagare meno

In questi giorni mi sono arrivate alcune richieste su cosa dovrebbe fare una persona per vivere Green. 
La tendenza generale è quella di pensare a grandi azioni rivoluzionarie, mentre la realtà è che la tutela dell'ambiente inizia soprattutto attraverso piccoli gesti quotidiani. 
Ecco qui, quindi un breve elenco di consigli per vivere green, che potrebbe essere anche la base per una prima riforma in chiave Green di qualsiasi azienda che decida di intraprendere una strategia di Green Marketing. 
La lista che segue è liberamente tratta da un articolo apparso sulla rivista numero 3 dell'Agenzia CasaClima di Giugno 2015. 
A questa, ho aggiunto alcune voci che credevo necessarie. 
Seguire queste norme ridurrà il vostro impatto sull'ambiente e ridurrà, di molto, le vostre bollette. 


ENERGIA


  • Risanare e coibentare l'edificio nel quale si vive/lavora al fine di ridurre al minimo il fabbisogno di energia;
  • Se è necessario costruire un nuovo edificio, è bene farlo secondo standard energetici al top, quindi oltre le prescrizioni nazionali vigenti (Uno standard che consiglio, in quanto anche io consulente energetico CasaClima, è quello appunto dell'agenzia altoatesina);
  • Scegliere un impianto di riscaldamento ecologico;
  • Abbassare la temperatura ambiente in inverno ed evitare temperature polari in estate;
  • Ridurre il consumo di acqua calda e anche in questo caso non programmare la caldaia per temperature eccessive;
  • Munire il proprio edificio di fonti di energia rinnovabile: Solare Termico, Fotovoltaico ecc.;
  • Sostituire ove possibile i vecchi elettrodomestici con nuovi modelli a prestazione energetica A o superiore; 
  • Monitorare i propri consumi giorno per giorno tramite appositi dispositivi al fine di evitare brutte sorprese in bolletta e di sprecare energia oltre lo strettamente necessario;
  • Quando si cucina, usare pentole a pressione e coprire le pentole con coperchi;
  • Evitare lo Stand-By;
  • Programmare la temperatura di lavaggio più bassa possibile tanto per la lavatrice come per la lavastoviglie;


CONSUMI


  • Limitare i propri acquisti a quanto veramente necessario evitando accuratamente di comprare qualsiasi cosa che sapremo finirà presto nella spazzatura;
  • Preferire prodotti con poco imballaggio e comunque riciclabili al 100%;
  • Comprare articoli durevoli;
  • Considerare nelle scelte anche la possibilità di acquisire prodotti usati (Vedi Mercatino per esempio...)
  • Preferire prodotti certificati del commercio equo e solidale;
  • Usare pochi detergenti e comunque ecologici e poco aggressivi;

MOBILITA'

  • Andare a piedi o in bici quando possibile (Inutile non muoversi mai e poi pagare abbonamenti alle palestre...);
  • Usare i mezzi pubblici;
  • Condividere l'auto;
  • Guidare in modo tale da consumare poco carburante;
  • Comprare veicoli con bassissimi consumi di carburante, con emissioni minime e se possibile con propulsione alternativa;
  • Evitare di prendere l'aereo quando non è indispensabile;

ALIMENTAZIONE

  • Comprare prodotti di stagione a km 0;
  • Preferire prodotti biologici certificati;
  • Bere l'acqua del rubinetto;

RIFIUTI

  • Prima di tutto cercare di produrre la minor quantità possibile di rifiuti;
  • Fare metodicamente la raccolta differenziata;
  • Evitare l'acquisto e l'uso di prodotti o parte di essi non riciclabili;
  • Comprare solo il cibo che si può mangiare ed evitare di doverlo buttare perchè non consumato prima della sua scadenza;
  • Evitare di gettare gli avanzi: meglio mangiarli o riutilizzarli per nuove ricette;
  • Preferire bottiglie a rendere piuttosto che bottiglie monouso;
  • Se possibile fare il compostaggio in casa;

POSTO DI LAVORO

  • Evitare lo Stand-By
  • Evitare di stampare (Oggi non è più necessario!). Se proprio si deve, allora sarà bene usare carta riciclata, stampare in bianco e nero e fronte-retro;
  • Regolare la climatizzazione piuttosto che lasciare un po' aperte le finestre in inverno;
  • Spegnere le luci se in ufficio non c'è nessuno;




martedì 14 luglio 2015

Una tecnica per diventare creativi. Le mappe mentali.

In molti ritengono che la creativitá sia un dono naturale.
Un estro innato che non tutti hanno.
Vorrei sfatare questo mito.


I più grandi inventori di tutti i tempi hanno considerato la creatività come il frutto di una costante dedizione al lavoro e il risultato di uno sforzo continuo.
Certo esiste l'intuizione geniale.
Così come esistono anche i fortunati vincitori del superenalotto.

La realtà è che nessuna invenzione che ha cambiato il mondo è stata il frutto della fortuna.
Dietro c'è stato sempre un cocktail fatto di passione, visione e duro lavoro.
La creatività si coltiva: nutrendosi di stimoli ed esercitandola giorno dopo giorno.
Alcune tecniche invece si imparano.


Una di queste è la mappa mentale.
Tra tutte quelle esistenti è probabilmente la mia preferita, perché ritengo sia quella che più di ogni altra sia in grado di mettere insieme la facilità di esecuzione con il potenziale creativo.
Vediamo come funziona.


Ipotizziamo di voler sviluppare un'idea.
Per iniziare una mappa mentale, dovremo prendere una parola, che può avere o no, una relazione diretta con il progetto al quale vogliamo lavorare.
Se per esempio dovessimo sviluppare un'applicazione che tratti della vita contadina, potremmo iniziare con la parola CAMPAGNA.
Questa prima parola dalla quale prenderà vita la nostra mappa mentale sarà il nostro detonatore.
Si chiama detonatore proprio perché come una bomba, deve far esplodere la nostra ricerca di nessi logici.
Una prima regola della quale è veramente molto importante non dimenticarsi, è che per eseguire bene una mappa mentale, è necessario non pensare al motivo per il quale la si sta facendo, nell'esempio in questione lo sviluppo di un'applicazione, ma bisogna concentrarsi esclusivamente sui detonatori senza mai contestualizzarli.
In caso contrario, il risultato sarà solamente una conferma di quanto già sappiamo e la nostra mappa mentale non aggiungerà nulla di nuovo alla nostra idea.

Torniamo al nostro primo detonatore: CAMPAGNA.
Ognuno singolarmente inizia ad associare a questo primo concetto, tutti quelli che gli vengono in mente.
Lo farà tracciando linee verso l'esterno che terminano ognuna in uno dei nuovi concetti emersi.
Per esempio io dal detonatore Campagna traccerei tante linee quanti sono i concetti che mi sono venuti in mente, come per esempio: Natura, Biologico, Villaggi, Animali, Escursioni, Grano.
Ne potete scrivere quanti ne volete.
E come vedete la logica è del tutto personale.
Si tratta di libere associazioni per cui non ne esistono alcune migliori di altre.
Tutte queste nuove idee, diventano ora a loro volta nuovi detonatori dai quali partiranno nuove idee.
Per esempio Escursioni sarà sviluppato a sua volta, sempre senza tener conto del motivo per il quale si è avviato il lavoro.
Ad Escursioni potrei associare: Sport, Sudore, Caldo, Panorami, Baita ecc. ecc.
Proseguiremo questo esercizio generando nuove idee e detonatori fino a quando non avremo esaurito la nostra fantasia.
Otterrete così una mappa piena di nodi e di idee.
Non esiste un solo centro, ma molti detonatori.

Vedrete che già guardando la mappa nel suo insieme, vi saranno venute nuove idee.
Ma per sintetizzare bene il lavoro fatto, che a volte potrebbe essere veramente enorme, bisogna fare un ultimo passaggio.

Sulla mappa, individuate 3 o 4 concetti che ritenete utili e riunite sotto di essi, alcune delle idee emerse, creando così altrettanti gruppi distinti di attributi.
Nella mia mappa per esempio sono emersi Salute, Tradizioni e Tempo.
Sotto i quali ho inserito alcune idee come per esempio sotto Salute ho messo Biologico, Movimento, Km 0 e Stare all'aperto.
Questi gruppi finali di idee, saranno gli strumenti per sviluppare il vostro lavoro.

Potrete fare più mappe mentali ed ogni volta scegliere un primo detonatore anche molto differente dagli altri.
Anche questa tecnica ha bisogno di esercizio.
Più ne farete e più facile risulterà.
Fino a quando la vostra stessa forma mentis non inizierà a ragionare se pur in modo astratto e molto più rapido, come una mappa mentale.

Creativi come dicevamo all'inizio, si diventa.
Buon lavoro a tutti.

Info e contatti: 
Alessandro Grilli 


giovedì 9 luglio 2015

Viva el Green Marketing! Viva la revolución!

È sempre più diffusa l'idea secondo la quale il Green Marketing sia una bella cosa.
Ma il rischio sta proprio nel fatto che il Green Marketing, che ha un potenziale enorme, rimanga uno di quei temi sui quali tutti sono d'accordo, ma dei quali in realtà nessuno ne sa molto.

In fondo in molti suscita una sorta di simpatia proprio per via di quei clichet che lo associano ad una certa leggerezza, al movimento hippie, al vivere nella natura e simili.

Non è del tutto errato, ma questi aspetti appartengono più ad un modo di guardare al mondo piuttosto che a uno strumento strategico ed economico qual è il marketing.
Premetto che il mio di approccio è quello di chi si avvicina al Green dal marketing e quindi non potrò mai tralasciare il principale obiettivo del mio agire nel ruolo di consulente : aumentare il business e la penetrazione commerciale dell'organizzazione che si affida ad una strategia di green marketing.
E in questo mi associo apertamente a John Grant, uno dei principali esponenti del Green Marketing e al suo testo, Green Marketing manifesto, che consiglio di leggere.


Il Green Marketing mi affascina così tanto proprio per la sua doppia anima: da un lato non dimentica l'obiettivo primario della nostra disciplina che è e deve essere quello di generare valore per i clienti e di far incontrare domanda e offerta; dall'altro diventa uno strumento potente per apportare cambiamenti significativi nel mondo nel quale viviamo.


Perché è tanto potente dirà qualcuno?
Beh la risposta risiede proprio nell'anima profonda del marketing.
Il valore si costruisce nel tempo.
E una strategia di marketing ben fatta non può puntare sul breve periodo, ma deve basarsi su azioni lungimiranti e piani operativi che acquisiscono senso solamente nel medio e lungo periodo.
Il Green Marketing ha quindi la capacità di dare un contributo fondamentale alla costruzione del mondo che vorremmo.


Fondamentalmente a fronte dei cambiamenti sociali ed economici anche drastici ai quali stiamo assistendo, il Green Marketing ha la capacità di contribuire ad una innovazione epocale simile a quella che abbiamo affrontato nell'ambito della Innovation Technology alcuni anni fa.
Siamo passati da essere reticenti all'utilizzo di mezzi tecnologici a non poterne più fare a meno.
Sarebbe addirittura impensabile oggi pensare alla nostra quotidianità priva di Pc, tablet, cellulari, internet, GPS ecc. ecc.
Allo stesso modo il Green Marketing dovrà contribuire attivamente a rendere ovvie e accettabili le alternative Green alla nostra vita quotidiana.
Il suo potere sarà quindi quello di innovare facendo la differenza, generando opportunità dalla grande portata innovativa senza tralasciare, chiaramente, la creazione di business redditizi per chi sarà sufficientemente lungimirante da investire nel futuro prossimo.


Quindi è ovvio a questo punto, come il Green Marketing sia caratterizzato da una doppia anima: quella commerciale e quella ambientale.
Un duplice obiettivo che persegue in un'ottica win/win.
Se l'obiettivo di una strategia commerciale è solo quello di fare soldi, sarà inevitabile, come abbiamo visto anche sopra, un approccio basato su strategie di breve e brevissimo termine che ruoteranno sul taglio dei costi, sulle promozioni e sull'assenza di investimenti volti alla creazione di vantaggi competitivi.


Un esempio di New Marketing che prendo in prestito da John Grant è molto significativo in tal senso.
La Nike oltre a fare belle scarpe (De gustibus...) si fa portavoce di una visione forte: fare sport fa bene e tutti dovrebbero farne.
In questo senso da moltissimi anni promuove lo sport in tutte le sue forme organizzando eventi sportivi di grande richiamo.
Oggi siamo abituati a maratone cittadine ed eventi sportivi lì dove fino a qualche anno fa sembravano impensabili.
Questa promozione di un particolare stile di vita sano, ha chiaramente ripercussioni sulle vendite della Nike, ma è innegabile che abbia contribuito attivamente a stimolare l'adozione di comportamenti salubri.
Certamente il successo di una azienda o di una strategia marketing può sempre interpretarsi alla luce dei benefici monetari che è in grado di generare, ma è molto raro, come afferma Grant, che questi arrivino grazie a strategie finanziarie.


Vediamo come può operare il Green Marketing.
Gli obiettivi Green possono essere classificati in due tipi: 1 Cambiare quello che le persone fanno e 2 Cambiare il modo in cui le persone vedono il mondo.
Una società come l'americana Tesla, che fabbrica supercar elettriche, può incentivare ad esempio l'acquisto di un suo veicolo apportando argomenti quali il rispetto dell'ambiente e la riduzione di emissioni tossiche.
Un comportamento sicuramente green, ma che non significa automaticamente un cambio di atteggiamento generale: non è detto che quella persona guidando un veicolo ecologico inizierà per esempio anche a riciclare.
Se invece si lavora per cambiare la visione del mondo che le persone hanno, allora i comportamenti si moltiplicheranno e aumenteranno esponenzialmente i benefici commerciali nel lungo periodo, così come i benefici ambientali di tipo sistemico.


Riprendendo una classificazione suggerita da Grant, della quale azzardo una differente definizione, possiamo quindi affermare che il Green Marketing può operare su diversi livelli: 1 Commerciale, 2 Comportamentale e 3 Culturale.


Il primo, quello commerciale, è quello per il quale il marketing si preoccupa esclusivamente di promuovere un prodotto più verde di altri. Il fine di questo tipo di azioni è esclusivamente ascrivibile all'area business: vendere.
Di green c'è il prodotto, ma chiaramente la strategia è molto basica e più facilmente soggetta ai trend di mercato per quel settore specifico.
Il secondo è quello comportamentale. Il Green Marketing in questo caso non si limita ad incrementare le vendite di un prodotto verde, ma anche di contribuire al cambiamento di un comportamento associato direttamente al suo uso e consumo. Parte proprio da quest'ultimo per fomentare indirettamente il bisogno di quell'offerta specifica.
Per fare un esempio potrebbe essere il caso di una azienda che produce biciclette e che sceglie di promuovere eventi di bike touring o di sponsorizzare opere pubbliche per la costruzione di piste ciclabili.
È chiaro che investimenti in marketing di questo tipo hanno effetti meno immediati e non facilmente quantificabili, ma dall'altra parte i benefici di iniziative del genere garantiscono risultati per molto più tempo con un costo, nel medio e lungo periodo, molto più basso.
Il terzo e ultimo è quello culturale. È il marketing più Green in assoluto, ma anche quello più ambizioso e complesso.
Lo scopo di azioni di questo tipo è proprio quello di promuovere cambi culturali profondi che implichino abitudini di consumo completamente differenti.
Un esempio può essere quello di bla bla car, che attraverso una declinazione specifica della sharing economy, quella della condivisione delle macchine per i viaggi, promuove la comprensione del problema dell'inquinamento atmosferico causato dall'uso eccessivo dei veicoli con motori a combustione e di quanto sia superfluo il loro uso individuale.


È evidente come una semplificazione del genere sia assolutamente riduttiva pur se funzionale.
Il mio consiglio è quello di adottare strategie di lungo periodo di tipo culturale, che trovino la propria applicazione nel medio periodo attraverso strategie comportamentali a loro volta basate su tattiche di breve periodo di tipo commerciale.


Questa, semplificando molto, è una buona formula per approcciarsi in modo appropriato al Green Marketing.
Fuori da questo schema, il rischio di green washing è molto elevato.


Quella dell'ambientalismo è l'unica vera battaglia di portata rivoluzionaria che appartiene alla nostra epoca.
Per cui chi vuole lavorare nel Green Marketing è obbligato a sposare un codice deontologico e morale di altissimo livello.
Anche perché non esiste ambientalismo che non tenga conto contemporanemente anche delle implicazioni sociali ed economiche.
Una triade indissolubile che deve suonare nelle nostre menti come un mantra.
I consulenti in Green Marketing sono chiamati per la prima volta a ricoprire un ruolo sociale di sviluppo al contempo economico e culturale.


Cari colleghi siate lungimiranti e creativi.
C'è un mondo intero che ha bisogno della nostra capacità di capire quello di cui c'è bisogno.

È arrivato il momento di dare il nostro contributo per un mondo migliore.

Per info e contatti: 
Alessandro Grilli 


mercoledì 8 luglio 2015

Il momento di cambiare


Ogni organizzazione vive un ciclo di vita composto da alcune fasi predeterminate.


Normalmente in un'impresa o associazione questa questione è sollevata in un momento specifico del suo ciclo di vita, ovvero quando le cose sembrano non funzionare più come prima e la faccenda diventa evidente a tutti.
Apparentemente le persone perdono di vista l'obiettivo comune, le chiacchiere di corridoio si moltiplicano, si parla e si sparla di tutti e ogni iniziativa si scontra contro procedure e burocrazie che sono tanto inutili quanto fastidiose.
Si perde lentamente il senso del proprio lavoro, afflitti dalla continua frustrazione nel vedere che l'iniziativa del singolo muore sul nascere.
Così finisce che ognuno pensa ai fatti propri ed esercita tutto il potere a sua disposizione per assicurarsi quella che viene definita una rendita di posizione: rendita che può non avere nulla a che fare con i soldi, ma può trovare la sua espressione anche nel semplice rendere difficile fare una fotocopia ad un collega se se ne ha il potere.


Nella mia esperienza vorrei dire che per quanto fastidiosi e molesti, questi attegiamenti non coincidono quasi mai con la volontà di far male al prossimo.
È solo un vortice vizioso che si nutre di se stesso.


Quando l'organizzazione presenta queste  dinamiche è nel pieno della sua maturità: si sclerotizza, perde la propria capacità di reazione e diventa incredibilmente inefficiente.
Ma come si arriva a questo punto? Di chi è la colpa?
La colpa non è di nessuno. Ed è inevitabile arrivarci proprio perché si tratta di un momento fisiologico del ciclo di vita di qualsiasi organizzazione.
Semmai prevedendola, si può evitare di finire nell'occhio del ciclone.
Si inizia con la fase di start up nella quale l'entusiasmo per l'obiettivo comune sopperisce a tutte le mancanze finanziarie e organizzative.
Poi per chi sopravvive c'è la fase della crescita, nella quale l'organizzazione si struttura in ruoli più specifici e mansioni predeterminate.
Nella maturità invece questa fase di organizzazione si è spinta ormai così in avanti da essere diventata una burocratizzazione dei processi fine a se stessa.
E quindi le persone che non hanno più un obiettivo comune ambizioso e stimolante, finiscono per riversare le proprie energie e le proprie frustrazioni sull'organizzazione stessa.
Risultato: l'imminente collasso operativo.
Ma state calmi. A tutto c'è rimedio.
La letteratura accademica ci dice che in questi casi è necessario resettare il più possibile l'organizzazione potando l'albero di tutti quei rami e quelle foglie che sono diventati inutili.
Se si sceglie di non farlo, la strada che si percorrerà sarà più difficile e c'è il serio rischio che il problema si ripresenti fra qualche tempo, con l'aggravante di una condizione finanziaria molto più deteriorata.
È necessario poi snellire i processi concentrandosi più sulle finalità delle operazioni piuttosto che sulle dinamiche interne.
Infine si deve attivare un sistema che premi i comportamenti più virtuosi evitando, ove possibile, di punire quelli meno meritevoli (Quest'ultimo aspetto merita un discorso specifico che affronterò a tempo debito in un post dedicato).


C'è poi un ulteriore sistema che dipende quasi interamente dalla capacità del leader di mettersi alla guida della struttura e traghettarla verso nuovi sentieri inesplorati.
Faccio riferimento alla capacità di definire e rendere pubblico un nuovo obiettivo estremamente ambizioso, ma raggiungibile.
Deve stimolare il gruppo nella sua complessità facendolo sentire parte di un progetto più ampio.
Il leader dovrà stabilire l'obiettivo, inspirare fiducia e riporla nelle capacità dei singoli.
I risultati, anche e soprattutto quelli parziali, dovranno essere celebrati per far si che nessuno si demoralizzi.
Il leader dovrà essere una guida forte e discreta allo stesso tempo, capace di gestire il timone di una nave pur se il mare è in tempesta e la meta è una terra sconosciuta.
Se la sua ciurma saprà per quale grande impresa sta lottando e avrà la certezza di avere la fiducia del suo capitano, quella nave si metterà in salvo e navigherà presto in acque tranquille.


C'è un aneddoto che vorrei usare per concludere questa riflessione: si racconta che Kennedy in visita a Cape Canaveral dove si costruiva la navicella che avrebbe portato il primo uomo sulla luna, incontrò durante il suo tour un addetto alle pulizie.
Come suo solito, porgendogli una mano sulla spalla, gli chiese amichevolmente cosa stesse facendo.
Questi gli rispose sorpreso: "Non lo vede signore? Pulisco i pavimenti."
E Kennedy prontamente lo interruppe dicendogli: "Non è vero ti sbagli! Stai lavorando per portare l'uomo sulla Luna!".


Vi auguro di trovare presto la vostra luna.
Buon lavoro a tutti.

lunedì 6 luglio 2015

Legambiente e il marketing

Da qualche tempo sto frequentando molto da vicino Legambiente.
Per chi non lo sapesse Legambiente è la principale associazione ambientalista italiana che conta in tutto il territorio nazionale migliaia di circoli locali animati da bravissimi volontari.

I successi di Legambiente, piccoli e grandi, sono tanti. Impossibile elencarli tutti in questa sede.
Per cui mi basterà dire che se non fosse per loro, oggi non esisterebbero i reati ambientali, non sarebbe stata di dominio pubblico la tragedia della terra dei fuochi, non esisterebbe la definizione di ecomafia e non verrebbero premiati ogni anno i comuni italiani più virtuosi nell'ambito dei rifiuti e della produzione di energia da fonti rinnovabili. Per tutte le altre iniziative e successi vi consiglio di visitare il sito ufficiale, dove potrete tra le altre cose partecipare attivamente dando il vostro contributo.


Io sono uno di quei volontari e da tempo collaboro con il circolo romano Legambiente Mondi Possibili. E in questi ultimi tempi mi sto avvicinando alla direzione di Legambiente anche nella mia veste professionale di consulente in marketing.
Mentre per me è chiaramente del tutto ovvio come il marketing debba essere un elemento chiave di una associazione senza fini di lucro come Legambiente, scopro con un po'di sorpresa, come questo binomio non sia del tutto evidente a tutti.
Parafrasando non di rado sento dire: come può un'organizzazione che si pone al di sopra delle logiche di mercato scadere nella mercificazione e svendersi?
Legambiente non può chiedere soldi perché deve tutelare l'ambiente e non fare cassa!
Opinioni che pur se in modo molto più moderato si insinuano anche nelle pieghe dell'associazione stessa, dove chi fa marketing in fondo è visto con un po'di biasimo.


Questo articolo non viene certo a difendere il mio orgoglio o quello della categoria: se fossi mosso da questo, allora non spenderei nemmeno del tempo a scrivere questo blog con lo scopo di sfatare falsi miti e di diffondere le buone pratiche del marketing.  
In fondo affermazioni come quelle sopra dipendono interamente da preconcetti e da una molto approssimativa conoscenza delle questioni in oggetto.


Di seguito i due principali errori concettuali che sostengono domande del genere:
1) Un'Organizzazione No Profit (ONG) non persegue fini economici.
2) Il marketing è mercificazione, menzogna e roba da furbetti.


Iniziamo con il primo.
Potremmo dire in un altro modo che una ONG è tanto più nobile quanto meno ha anche fare con i soldi.
Beh signori miei, a mio avviso se pensate questo non avete capito nulla di come funziona il mondo perché anche una ONG deve pagare l'affitto dei locali, le utenze, i materiali da lavoro e gli stipendi.
Ma come non erano volontari? Dirá qualcuno.
Sì! Ma c'è anche chi sceglie di mettere la propria professionalità a disposizione di una organizzazione no Profit tutto il giorno e praticamente tutti i giorni della settimana. E lo fa chiaramente perché sposa la causa.
Ma insomma anche quelle persone devono mantenersi e senza di loro non sarebbe possibile avere un organizzazione funzionale.
Quindi una ONG ha bisogno di soldi per pagare le spese e per sostenere la sua principale attività politica che in quanto tale a bilancio non è autosostenibile.
Sì, ma ci sono i fondi pubblici e il 5 per mille e le donazioni volontarie! Dirà qualcun'altro.
Certo, ma non bastano.
Con le varie spending review gli aiuti statali sono diminuiti fin quasi ad azzerarsi e tutte le associazioni ora sono costrette a cercare soldi ovunque.
E per quel che mi riguarda, preferisco sia così: perché quanto più le risorse sono scarse, quanto più un'organizzazione deve essere efficiente.
E quale altra organizzazione, se non in primis la principale ONG ambientalista italiana, dovrebbe essere più attenta all'efficienza?

Si riduce quindi il rischio di creare carrozzoni inutili e destinati a morte certa.
E, mi permetto di dire, di evitare che la capacità operativa vari al variare delle amministrazioni di turno.
Una ONG quindi, ora più che mai, ha bisogno di trovare soldi. Sempre.
E ci riuscirà quanto più sarà abile nel perseguire i suoi fini politici, preoccupandosi di farne conoscere i risultati a tutti.
Chi collabora economicamente deve farlo perché sposa il progetto e la causa. Non per secondi fini politici od economici.
No Profit indica quindi, se ancora fosse necessario ribadirlo, non il fatto che l'organizzazione non debba cercare di incassare soldi e gestire in maniera economicamente efficiente (Al pari di una Profit quindi) le risorse disponibili, ma nel fatto che gli eventuali utili, se c'è ne sono, non possono essere ripartiti in nessun modo.
La differenza tra Profit e non Profit sta tutta qui.
Il resto sono solo stereotipi datati, figli di un'epoca in cui lo stato mal gestiva i propri averi e di un ideologismo utopico troppo distante dalla realtà dei fatti.
Tutti, ma proprio tutti, dobbiamo fare i conti a fine mese. Chi la pensa diversamente evidentemente ha altre risorse.
Il denaro non è il male.
Quello che c'è di sbagliato risiede nell'uso che se ne fa.
Legambiente come tutte le ONG ha bisogno di soldi.
E almeno queste cercano di impiegarli per cause nobili, per cui più soldi entrano e meglio sono gestiti, più risultati politici si otterranno.


E ora il turno del secondo quesito. Il marketing è il male e non dovrebbe essere nemmeno accostato a chi fa del volontariato e persegue nobili fini politici.
A volte sento pronunciare la parola marchettaro per definire un'operazione di marketing.
Se l'uso della parola è consapevole, allora il rimando ai bordelli è evidente. Eh sì! Perché per qualcuno chi fa marketing in una ONG in fondo è la puttana dell'associazionismo.
Far cambiare loro idea è un impresa ardua.
Ma almeno per i più giovani e per quelli aperti di mente fatemi dire chi la pensa così sbaglia di grosso.
Il marketing non sono le vendite. (Nobilissime anch'esse peraltro se fatte bene.)
Il marketing non è la pubblicità.
Pensate che nel marketing, vendite e pubblicità occupano gli ultimi posti in ordine di priorità e importanza.
Il marketing è piuttosto una riflessione profonda su cosa e in che modo proporre quello che una persona desidera.
Sto semplificando molto, ma il marketing insegna da subito, anche ai neofiti, che vendere fumo non darà risultati se non nel breve periodo.
Se non si è in grado di generare valore per il cliente, questo non comprerà e se pure lo dovesse fare, comunque non lo rifarà una seconda volta se non soddisfatto.
Il marketing quindi è proprio il contrario della mercificazione.
Ci dice che un cliente non soddisfatto ci porterà via centinaia di clienti potenziali e che un cliente soddisfatto costa 1/6 di un nuovo cliente.
L'attenzione quindi del marketing è in primis sulla gestione di quelle persone che hanno creduto nel nostro progetto!
La pubblicità serve per attirare nuovi clienti, ma solo perché si crede nel valore di quello che si offre e lo si vuole far conoscere a chi non è stato raggiunto dal passaparola.
Comprereste di nuovo un prodotto che vi ha deluso?
Il marketing è solo uno strumento.
Non è il male e neanche il bene.
Solo serve a raggiungere il numero maggiore possibile di persone che credono in quel prodotto o servizio.
Se una ONG fa del bene e ha bisogno di soldi, il marketing potrà aiutarla a definire ogni aspetto della propria azione (Ripeto il marketing non sono le vendite ne la pubblicità) e fare in modo che il valore della ONG tutta e di ogni singola iniziativa sia percepito da tutte le aziende e le persone che potranno sostenerla economicamente.


Per concludere una ONG le cui risorse sono scarse, sia essa Legambiente o qualunque altra associazione, ha bisogno del marketing per far si che la propria attività quotidiana generi sufficienti entrate che ne garantiscano la sopravvivenza nel tempo e contribuiscano a creare i fondi ai quali potrà attingere l'attività squisitamente politica.


Il DDL Ecoreati di recente approvazione non sarebbe stato possibile senza l'azione di uomini e donne che ci hanno lavorato instancabilmente senza aspettarsi nulla in cambio.
Una struttura efficiente ed efficace che contribuisca a creare un'opinione pubblica cosciente su certi temi è la condizioni sine qua non per far si che certe azioni politiche abbiano successo.
In fondo la politica, quella delle amministrazioni, è alla costante ricerca di consensi.
E quanto più certi temi diventano un bisogno del popolo, tanto più qualsiasi azione di pressione avrà successo.


In fondo è sempre una questione di domanda e offerta.
E il marketing è la scienza per eccellenza della domanda e dell'offerta.
Capire che in questo ambito il marketing può dare un contributo veramente significativo è il primo passo per il futuro successo della Legambiente e di qualsiasi altra ONG.